SAN MASSIMILIANO M.KOLBE: UNA VITA SENZA CONFINI

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“Ave Maria!” Furono queste le ultime parole pronunciate da San Massimiliano prima di morire, porgendo il braccio per l’iniezione al carnefice.

Una vita spesa tutta per Maria. Un santo che è ormai modello di assoluta marianità.

Il 28 maggio del 1941 padre Massimiliano Maria Kolbe arrivò nel lager di Auschwitz. Durante il periodo di prigionia, scrisse una sola lettera alla madre, da cui traspare serenità e un totale abbandono alla volontà di Dio: «Mia cara mamma, verso la fine del mese di maggio sono giunto con un convoglio ferroviario nel campo di Auschwitz. Da me va tutto bene. Amata mamma, stai tranquilla per me e la mia salute, perché il buon Dio c’è in ogni luogo e con grande amore pensa a tutti e a tutto». Ripeteva sempre ai compagni di prigionia, sia ai cristiani che ai non cristiani: «L’odio non è forza creativa; solo l’amore crea… Queste sofferenze non ci spezzeranno, ma ci aiuteranno a diventare sempre più forti. Sono necessarie, insieme ai sacrifici degli altri, perché chi verrà dopo di noi possa essere felice». Diceva spesso: «Per Gesù Cristo sono pronto a soffrire anche più di così. L’Immacolata mi aiuterà». Un prigioniero ebreo disse di lui: «Questo prete cattolico è proprio un galantuomo. Finora uno simile qui non l’abbiamo avuto».

Alessandro Dziuba: «Aveva una fede eroica in Dio e vedeva il suo intervento in ogni cosa. Se un prigioniero stava per morire, diceva: “Questa è la volontà di Dio”; Lui stesso si abbandonava a Dio completamente. Ricordo che una volta disse che non avrebbe esitato a dare la sua vita per Dio e notai che non progettava né organizzava mai le cose per avere qualcosa da mangiare per sé, o per ottenere degli abiti migliori, o un reparto migliore dove lavorare… Lui si preoccupava solo “dell’anima e della fede”, e questo glielo ho udito dire io stesso».

Ladislao Lewkowicz: «Fin dal giorno in cui arrivò nel campo della morte, lo incontrai spesso, all’appello della sera. Nonostante la sua testa fosse piegata, forse a causa della poca salute, e parlasse lentamente e a bassa voce, le sue parole mi davano speranza e forza per superare le sofferenze con grande e profonda soddisfazione e gioia. Dopo averlo ascoltato, sentivo che non avevo più paura di morire, una cosa che mi aveva sempre angosciato… Nel campo di concentramento noi eravamo distrutti a causa delle sofferenze inumane e privati della fede, ma lui non solo accettava tutto come dono di Dio, ma lo ringraziava e lo amava ancora di più».

Miecislao Koscielniak: «Ci spronava a perseverare coraggiosamente. “Non vi abbattete moralmente”, ci pregava, assicurandoci che la giustizia di Dio esiste e che avrebbe alla fine sconfitto i nazisti. Ascoltandolo attentamente dimenticavamo per un po’ la fame e il degrado a cui eravamo sottoposti. Ci faceva vedere che le nostre anime non erano morte, che la nostra dignità di cattolici e di polacchi non era distrutta. Sollevati nello spirito, tornavamo nei nostri Blocchi ripetendo le sue parole: “Non dobbiamo abbatterci, noi sopravviveremo sicuramente, loro non uccideranno lo spirito che è in noi”.»

Padre Sigismondo Ruszczak: «Nelle mie preghiere non c’era davvero nessuna abitudine: erano intense, piene di angoscia, della fede più profonda e accompagnate dalle lacrime. È così che pregavo ad Auschwitz. Quando venni in contatto con padre Massimiliano, mi ribellavo a Dio dicendo: “Perché? Perché? Come puoi permettere tutto ciò?”. A quel tempo padre Massimiliano aveva ancora i lividi delle bastonate, ma non si lamentava mai. Fu lui che mi aiutò a penetrare nel senso della sofferenza».

Bruno Borgowiec: «Si può dire che la presenza di Padre Massimiliano nel bunker fu necessaria per gli altri… Stavano impazzendo al pensiero che non sarebbero più tornati alle loro famiglie, alle loro case e gridavano per la disperazione. Egli riuscì a rendere loro la pace ed essi iniziarono a rassegnarsi. Con il dono della consolazione che egli offrì loro, prolungò le vite dei condannati, di solito così psicologicamente distrutti che morivano in pochi giorni… Le porte della cella erano di quercia, e grazie al silenzio e all’acustica, la voce di Kolbe in preghiera si estendeva anche alle altre celle, dove i prigionieri potevano udirla bene… Da allora in poi, ogni giorno, dalla cella dove si trovavano queste povere anime e alle quali si univano le altre voci, si poteva udire la recita delle preghiere, il Rosario, gli inni. Padre Massimiliano li guidava e gli altri rispondevano in coro. Poiché queste preghiere e gli inni risuonavano in ogni parte del bunker, avevo l’impressione di essere in una chiesa. Egli non chiedeva niente e non si lamentava mai. Guardava direttamente negli occhi, con intensità, coloro che entravano nella cella. Quegli occhi, i suoi, che erano stati sempre così incredibilmente penetranti. Gli uomini delle SS non potevano sostenere il suo sguardo e sbraitavano: SCHAU AUF DIE ERDE, NICH AUF URS!, cioè: Guarda il pavimento, non noi!

14 agosto 1941. Erano già passate due settimane. I prigionieri morivano uno dopo l’altro e ne rimanevano solo quattro, tra i quali padre Massimiliano, ancora in stato di conoscenza… Un giorno fu inviato il criminale tedesco Bock per fare un’iniezione di acido fenico ai prigionieri… Quando Bock arrivò là, lo dovetti accompagnare alla cella. Vidi padre Massimiliano, in preghiera, porgere lui stesso il braccio al suo assassino. Non potevo sopportarlo. Con la scusa che avevo del lavoro da fare, me ne andai. Ma non appena gli uomini delle SS e il boia se ne furono andati, tornai. Gli altri corpi, nudi e sporchi, erano stesi sul pavimento, con i volti che mostravano i segni della sofferenza. Padre Massimiliano era seduto, eretto, appoggiato al muro. Il suo corpo non era sporco come gli altri, ma pulito e luminoso. La testa era piegata leggermente da una parte. Il suo volto era puro e sereno, raggiante. Chiunque avrebbe notato e pensato che questi fosse un santo».

Michele Micherdzinski: «San Massimiliano Kolbe salvò prima di tutto in noi la nostra umanità. Fu una guida spirituale nella cella della fame, incoraggiava, guidava la preghiera, conduceva i moribondi con un segno della croce all’altra vita. In noi, salvati dalla selezione, fortificò la fede e la speranza. In questo clima di terrore e di male ci restituì la speranza».

san Massimiliano Maria Kolbe sac m e Maria SS

Giorgio Bielecki: «Fu uno shock enorme per tutto il campo. Ci rendemmo conto che qualcuno tra di noi, in quella oscura notte spirituale dell’anima, aveva innalzato la misura dell’amore fino alla vetta più alta… Dire che padre Massimiliano Kolbe morì per uno di noi o per la famiglia di quella persona sarebbe riduttivo. La sua morte fu la salvezza di migliaia di vite umane. E in questo, potrei dire, sta la grandezza di quella morte…».

SANTI SEVERIANO ED AQUILA: SPOSI E MARTIRI

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Tanti sono stati i martiri cristiani al tempo dell’Impero Romano: tra costoro, ci furono anche molte coppie di sposi, unite dal matrimonio e dal martirio glorioso.

I Santi Severiano ed Aquila, sono stati martirizzati nel III secolo a Cesarea di Mauritania, in Africa Settentrionale.

Come molti altri, si aggiunsero alla schiera dei cristiani torturati, uccisi, divorati dalle bestie feroci, in ogni angolo dell’Impero.

Secondo il Martirologio, i due sposi furono bruciati vivi: il supplizio forse più doloroso di tutti.

Probabilmente, i due martiri erano anche dei grandi benefattori all’interno della comunità cristiana in Africa, segno di una generosità d’animo molto grande.

Chiediamo a Maria, Regina della famiglia, di darci genitori e famiglie sante, sempre ma soprattutto ora.

Proposito: una corona del Rosario per la santificazione degli sposi

SANTO STEFANO: LA CORONA DEL MARTIRIO

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La celebrazione liturgica di questo Santo, segue la nascita di Cristo: nei giorni seguenti alla manifestazione del Figlio di Dio, furono posti i santi più vicini alla sua vita ed i primi che resero testimonianza con il martirio.

Il 26 Dicembre è Santo Stefano, primo martire della cristianità, poi segue san Giovanni, discepolo prediletto di Gesù, infine i Santi Martiri Innocenti, coloro che furono uccisi al posto di Gesù.

Santo Stefano era forse un giudeo educato alla cultura ellenistica; grazie alla sua fede e cultura, divenne uno dei primi diaconi di Gerusalemme.

Infatti, a causa di dispute tra i discepoli, gli Apostoli scelsero un gruppo di sette, di cui faceva parte lo stesso Stefano, i quali, come gli odierni diaconi, avevano il compito di assisterli nel ministero.

Gli eberei ellenistici, vedendo il gran numero di convertiti, lo accusarono di “pronunziare dichiarazioni blasfeme contro Dio e Mosè.

In un lungo discorso, il Santo ripercorse tutte le Sacre Scritture, in cui si testimoniava che il Signore aveva preparato, per mezzo di patriarchi e profeti, l’avvento del Giusto.

Poi alzò gli occhi al cielo e disse:

“Contemplo i cieli aperti ed il Figlio dell’uomo, che sta alla destra di Dio”

I presenti si scagliarono contro di lui e lo lapidarono, il furore del popolo era incontrollabile.

Mentre il Santo, insanguinato per i colpi ricevuti, crollava a terra, chiese perdono a Dio per i suoi uccisori.

Santo Stefano è stato il primo martire, il primo di una lunga schiera di figli di Maria, Regina dei Martiri: quando la fede è più forte anche della morte.

Proposito: una corona del Rosario per tutti i cristiani perseguitati

SANTI SIMONE E GIUDA: APOSTOLI DI CRISTO

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Nei Vangeli i loro nomi figurano agli ultimi posti: due apostoli che si sono santificati nel silenzio e nel nascondimento.

Due uomini diversi per cultura e status sociale, ma entrambi avevano accolto Cristo nella loro vita ed erano diventati suoi apostoli.

San Simone viene anche chiamato “Zelota”, perché aveva militato tra gli Zeloti, i più conservatori nella tradizione ebraica,  fautori della libertà dallo straniero anche con l’uso delle armi.

Sappiamo bene che Gesù, nello scegliere i suoi seguaci, non guarda all’esteriorità, ma al cuore: quanti sono stati gli apostoli scelti tra farisei, pubblicani e tra le persone comuni?

Ed è così ancora oggi: se leggiamo le vite dei santi che hanno seguito Cristo, ci accorgiamo della grande eterogeneità sociale e culturale.

I santi Simone e Giuda predicarono il Vangelo in Egitto ed in Mesopotamia, percorrendo a piedi regioni lontane, con solo il bastone, esposti a mille pericoli: secondo la tradizione subirono anche il martirio insieme.

San Simone è presente nell’iconografia tradizionale, accanto a Cristo ed alla Vergine: come San Luca e Giuda, come molti altri compagni di Gesù, probabilmente avrà conosciuto direttamente la Madonna, o comunque l’avrà di certo vista in qualche occasione.

San Giuda, detto Taddeo, “magnanimo”, domandò a Gesù nell’Ultima Cena:

“Signore, che cosa è avvenuto, che tu debba manifestarti a noi e non al mondo? ”

E Gesù gli rispose:

” Se uno mi ama, osserverà la mia parola, e il Padre mio l’amerà e verremo a lui, e faremo una cosa sola ”

Il Santo prefigura l’amore mistico, che è come il fuoco: punta sempre verso l’alto.

In una lettera,  San Giuda attaccò aspramente i fomentatori di discordie.

Li paragona ad astri erranti, ad alberi senza frutto, ad onde furiose del mare.

I santi Simone e Giuda sono stati per tutta la vita legati dalla scelta di seguire Cristo, fino al martirio, la donazione volontaria di sé, come ultimo e supremo dono d’amore.

Proposito: leggere e meditare una pagina del Vangelo